piercing: la storia
La storia del piercing ha in comune con quella del tatuaggio e altre forme di body modification origini antichissime, addirittura preistoriche. La testimonianza più remota ci è pervenuta dalla mummia soprannominata Otzi, la più antica mai rinvenuta. Quest’ultima, risalente a circa 5300 anni fa, oltre a 57 tatuaggi sul corpo, presenta un foro all’orecchio di circa 7,1 mm di diametro.
Storia del piercing: in passato, un segno distintivo di riconoscimento
Lo scopo principale del piercing era quello di consentire di individuare in modo immediato il ruolo che ciascuna persona assumeva all’interno della tribù, della classe o del gruppo sociale. A conti fatti era possibile, grazie a queste decorazioni corporali, riconoscere così il capo o la persona più anziana, i funzionari o i religiosi, e così via. Anche se questa era la funzione comune un po’ a tutte le tipologie di piercing, va detto che ciascuna pratica ha avuto un’origine propria, per cui sarebbe più corretto parlare non di “storia del piercing”, bensì di “storie dei piercing“.
Storia del piercing: fantasia o realtà?
Non va taciuto che sulle origini e la storia del piercing oggi circolano tanti racconti fantasiosi. Principalmente questo è dovuto all’immaginazione di Doug Malloy, al secolo Richard Simonton, pioniere del piercing moderno. Questi fu autore di un suggestivo testo sulla storia del piercing (Body & Genital Piercing in Brief) che, pubblicato nel 1989, è divenuto nel tempo l’unica fonte accreditata per la maggior parte delle “storie del piercing” che si leggono in rete o nelle pubblicazioni specialistiche. Tale opera è però in buona parte frutto della fantasia dell’autore, non potendo vantare alcun riscontro documentale. Inoltre successive ricerche hanno dimostrato l’infondatezza di ampie parti delle storie raccontate da Malloy.
Quasi tutte le culture tribali hanno praticato, sin dai tempi più remoti, la pratica della foratura del lobo dell’orecchio. Meno frequente, invece, era la foratura della cartilagine dello stesso. Oltre alla mummia Otzi di cui si è detto, sono moltissime le testimonianze documentali attraverso cui ricostruire la storia del piercing all’orecchio.
Nelle tribù più antiche, sembra che la pratica fosse legata alla credenza per cui i metalli impedivano agli spiriti di penetrare nel corpo. In quel caso, forare le orecchie per introdurvi oggetti metallici forniva una protezione contro gli spiriti stessi.
Allo stesso modo, in molte culture aborigene la pratica costituiva un rito di passaggio all’età adulta. Ad esempio, in Borneo con uno specifico rituale ciascun genitore perforava un lobo del figlio. Anche la Bibbia fa riferimento, in diversi passi, alla pratica condivisa da uomini e donne di indossare ornamenti per le orecchie, diffusi tra entrambi i sessi nell’impero Romano.
In Sudamerica, gli antichi Aztechi praticavano molte forme di body modification. Nello specifico dilatavano i lobi delle orecchie, sia come ornamento estetico che per sottolineare l’appartenenza a una determinata tribù.
L’uso del piercing alle orecchie non si è mai affievolito, e ne troviamo testimonianza praticamente in qualsiasi epoca. In realtà, con il passare del tempo nelle culture occidentali ha perso il significato tribale originario. Infatti al giorno d’oggi è per lo più un abbellimento estetico o uno status symbol. Per questo motivo è stato praticato da personalità di grande rilievo storico come Shakespeare, Sir Walter Raleigh o Francis Drake, per rimanere in ambito europeo.
Anche la storia del piercing al naso è antichissima, e se ne ritrovano tracce documentali nelle arcaiche scritture sacre indiane, i Veda, come pure nella Bibbia.
In India, in particolare, è una pratica tutt’oggi molto comune, eseguita dalla donne in età fertile poiché, secondo la medicina ayurvedica, la narice è associata all’area genitale femminile, e forarla faciliterebbe il parto. Parimenti la perforazione del naso è molto diffusa in culture tribali anche geograficamente lontane, come le tribù nomadi del Medioriente e quelle dei nativi americani, dove rappresenta un marchio dello status maschile.
Anche in Estremo Oriente e presso le tribù delle isole del Pacifico il piercing al naso viene praticato dall’antichità, soprattutto come strumento estetico per intimidire i nemici grazie all’introduzione di un osso attraverso il setto nasale, o, come nel caso della tribù Bundi in Papua Nuova Guinea, per sottolineare il passaggio di un ragazzo all’età adulta. Sempre al setto usavano apporre un ornamento gli Aztechi, e generalmente si trattava di un anello d’oro, mentre gli indigeni Marubo, in Brasile, vi facevano passare dei fili di perline a simboleggiare la sintonia con la natura circostante.
Gli aborigeni australiani, poi, usavano inserire nel setto nasale un lungo stecchetto per appiattire il naso. Nell’area himalayana, il piercing del setto nasale viene praticato quasi esclusivamente dalle donne dopo il matrimonio, per indicare l’appartenenza al marito. Come nel caso del piercing all’orecchio, in occidente oggi il significato originario di questa tipologia di piercing è andato scomparendo, e la foratura del naso rimane per lo più una pratica legata ad una filosofia estetica.
La storia del piercing alle labbra affonda le sue radici nelle usanze culturali delle tribù africane ed americane. In Sudamerica, in quasi tutte le società precolombiane come gli Aztechi, la perforazione del labbro rappresentava un simbolo di appartenenza alla classe di rango più alto. La pratica era riservata agli uomini, per ribadirne la supremazia economica e sociale sul resto della popolazione.
Nelle culture tribali africane, viceversa, la perforazione del labbro era un’esclusiva femminile, anche se il significato della pratica variava a seconda della tribù. Ad esempio, nella tribù Saras-Djinjas del Ciad il labbro della donna veniva forato dopo il matrimonio, a simboleggiare l’appartenenza allo sposo, analogamente alla pratica del piercing al naso presso le donne nepalesi.
Presso la tribù Dogon del Mali un anello al labbro era portato per motivi spirituali legati alla religione animista. Infine, presso la tribù Makololo del Malawi racchiudeva un significato puramente estetico, essendo considerato “innaturale” ed antiestetico un labbro femminile privo di tale ornamento.
Il piercing alla lingua, diversamente da altre tipologie, sembra aver avuto storicamente un significato meno estetico o esteriore. Infatti, questo sembra maggiormente legato a motivazioni religiose o curative.
Presso le civiltà precolombiane degli Aztechi e dei Maya, la perforazione della lingua aveva carattere rituale. Questa veniva praticata con una spina di pesce, per poi passare attraverso il foro una corda al fine di versare il sangue e indurre uno stato di trance. Tale sacrificio, effettuato ferendo un organo deputato alla comunicazione, era sentito come necessario per consentire al sacerdote di comunicare con la divinità. Allo stesso modo, i fachiri e i sufi o saggi islamici del Medioriente, come i medium dell’Estremo Oriente, praticavano la perforazione della lingua per offrire una prova del loro stato di trance.
Ragioni curative, invece, sottostavano alla foratura della lingua presso gli aborigeni australiani. In questo caso la pratica, realizzata dagli sciamani, serviva a succhiare via la magia malvagia dal corpo dei loro pazienti.
Nel mondo occidentale moderno la pratica del piercing si è sviluppata è ampliata gradualmente. All’inizio è stata fatta propria da diverse sottoculture perlopiù giovanili: basti pensare agli hippy negli anni ’60 e successivamente punk e goth. Nel corso del tempo il piercing è uscito dal panorama underground per diventare, come il tatuaggio, un fenomeno di costume molto diffuso in tutte le fasce della popolazione.